A cura di Antonella Ciurlia (psicoterapeuta e didatta IPR)
Il titolo suggestivo di questo libro ci regala immediatamente una chiave di lettura psicologica.
IL GREMBO PATERNO, l’ultimo romanzo di Chiara Gamberale, racconta una storia che si presta ad una risignificazione relazionale dell’intera vicenda esistenziale della protagonista, Adele.
I nostri modelli di attaccamento, le relazioni con e tra le figure primarie segnano inevitabilmente quello che saremo domani, cosa vedremo nella nostra immagine riflessa allo specchio, quali luoghi sceglieremo di abitare, quali amori desidereremo vivere. E quando toccherà a noi il ruolo di genitori avremo il duro compito di scegliere come essere, a chi vorremo assomigliare o da chi vorremo distinguerci e, soprattutto, ne saremo capaci?
È proprio la nascita della figlia Frida che porta Adele a fare i conti con la propria vicenda personale. Figlia di un femminile apparentemente autonomo e indipendente, Frida consente a sua madre di esplorare territori sconosciuti, di provare sensazioni nuove, di porsi domande scomode e a lungo evitate.
L’arrivo di un figlio segna un passaggio cruciale nel ciclo di vita dell’individuo e costituisce un cambiamento epocale, un’occasione di riscoperta e trasformazione. Guardando sua figlia, stando distesa accanto a lei mentre le accarezza i piedini, Adele osserva retrospettivamente il suo percorso. È in questo sguardo rivolto al passato che emerge la narrazione di una storia unica, ma allo stesso tempo uguale a tante altre, da cui prende avvio e senso il cammino di Adele. O forse dovremmo chiamarla “signorina senzaniente”, perché è questo il sentimento che accompagna la protagonista nel corso della sua evoluzione. Eppure Adele sembra cresciuta in una famiglia normale di un paese normale, ma è in quella normalità che il suo malessere nasce e cresce. Cosa ha imparato dai suoi genitori come coppia, chiederebbe Vittorio Cigoli ad Adele e, ancora, cosa ha imparato sul rapporto tra un padre e una figlia e tra una madre e una figlia? Una famiglia che di fronte alla tavola apparecchiata non riesce a comunicare davvero e ascolta solo il “plaff” della pasta nel piatto. Il rapporto conflittuale che Adele ha con il cibo nasce da lì. Ma il padre non capirà, convinto che per stare bene basta studiare, basta assolvere il “dovere”, basta mantenere una famiglia tradizionale di facciata, basta non accorgersi di una figlia che vuole le sue attenzioni esclusive e che rimarrà imbrigliata nel grembo paterno per quel bisogno di amore inappagato.
Come tutto ciò influenzerà le scelte future di questa figlia e donna?
Adele è una bambina speciale o forse strana per chi la guarda; il suo modo di parlare, osservare e fare domande è scomodo per chi sente di non avere risposte “giuste” da dare. Cercherà per molti anni di capire, di ottenere spiegazioni, di essere guardata ma tutto ciò non avverrà, almeno come a lei serve. Anzi, i genitori senza volerlo con le loro scelte, le loro fragilità, creeranno in lei profondi sensi di colpa e di inadeguatezza. I vissuti inespressi, le sofferenze nascoste anche a sé stessa prenderanno la forma di un disturbo alimentare che per tutta l’adolescenza alternerà l’essere pieno all’essere vuoto, dandole l’illusione di controllare tutto e tutti.
E poi l’età adulta, la maternità e la storia d’amore in cui rimarrà invischiata. Ancora una volta un sentimento corrisposto ma sempre incompleto, perché Nicola ha già una sua famiglia. Ma Adele è abituata a sentirsi così, non è mai stata davvero al centro, si accontenta delle briciole e soffre. Adele incontra un affabulatore, innamorato delle parole, quelle parole che in famiglia Adele non ha mai sentito pronunciare. Ma anche lui la fa attendere, la tradisce, l’affama e Adele sa cosa vuol dire. Lorna Smith Benjamin parlerebbe di “processo di copia” che consente ad Adele di mantenere quella prossimità psichica con la figura affettiva di riferimento, papà Rocco.
La differenza è che adesso Adele è madre e che i suoi genitori sono diventati nonni amorevoli e comprensivi. È un’altra fase del ciclo vitale e riconciliarsi con il passato le consentirà di comprendere che quell’amore a metà non è quello che merita. Che può e deve affrancarsi da quel modello relazionale per legittimarsi come figlia, madre e compagna.
Una narrazione diacronica che nasce dal vissuto reale dell’autrice e che le ha consentito, attraverso un percorso di conoscenza ed elaborazione della sofferenza, di spezzare una catena, quella che inchioda l’individuo alla coazione a ripetere disfunzionale e dolorosa.
“L’acqua l’accarezzava perdonandole tutto, come solo prima di esistere succede,
come solo nel grembo materno.
Nel grembo paterno.
Dove galleggiamo quando ancora non siamo successi,
nella pancia delle donne, nelle menti degli uomini che ci aspettano e che, se si perdonano di farci venire al mondo senza avercelo chiesto, in quei nove mesi devono per forza promettere a noi che tutti ci perdoneranno, che basterà l’amore, l’amore sistemerà sempre quello che sbagliamo.
Almeno fino a quando non si sfascia.”