A cura di Antonella Ciurlia (Psicoterapeuta e didatta IPR)
“Ogni scatto ha storie da raccontare, segreti da condividere, e memorie da portare alla luce” (Weiser,2013)
Le immagini hanno una valenza evocativa che sollecita ricordi, sensazioni, visioni che ci riconnettono ad un’emozione, uno stato d’animo, un pensiero.
Le immagini delle fotografe Simona Ghizzoni e Ilaria Magliocchetti sono state realizzate per rappresentare e raccontare il tema della violenza contro le donne in una mostra “SEGNI” ospitata dall’8 dicembre al 13 marzo 2022 nelle sale al piano terra del Museo di Roma a Palazzo Braschi.
Ogni scatto evidenzia particolari apparentemente trascurabili che invece si sono rivelati essere i segni da cogliere, come indizi, per individuare tempestivamente comportamenti o dinamiche violente. La fotografia, come linguaggio della contemporaneità, ci esorta a fermarci e osservare con attenzione quel che abbiamo intorno, ci aiuta in questo processo di consapevolezza.
Vengono ripercorse attraverso le immagini storie di donne che sono riuscite a fuggire da dinamiche di dipendenza violenta, di soprusi, maltrattamenti e minacce. Storie di donne e dei loro figli che per anni hanno subito il potere denigratorio e distruttivo di un uomo geloso, possessivo, violento.
Un progetto fotografico pensato per i giovani, per avvicinare le nuove generazioni ad un tema così attuale ma anche delicato e doloroso. Parlare di questo argomento, ma soprattutto comprenderlo, significa fare i conti con la matrice culturale in cui tutti ci troviamo ad essere immersi e che ci accompagna più o meno consapevolmente. Prenderne atto ci obbliga ad assumere un ruolo, a scegliere da che parte schierarsi, ad esercitare quella responsabilità sociale che ogni individuo ha, o dovrebbe avere, nei confronti di sé e della società tutta.
Gli scatti presenti alla mostra e le didascalie che le accompagnano ci guidano in un percorso di dolore e sofferenza, di consapevolezza e responsabilità innescando nell’osservatore un turbinio di emozioni che continuano ad accompagnarlo anche fuori, richiamando a quel senso di civiltà e di rispetto che dovrebbe sostituire e soppiantare la cultura della violenza e del sopruso.
Questa esperienza si ricollega all’importanza delle immagini anche in psicoterapia, dove nel corso degli anni sono riuscite a trovare sempre maggiore spazio e utilità clinica. Soprattutto nell’approccio sistemico l’utilizzo di “oggetti fluttuanti” che rimandano ad un linguaggio analogico è particolarmente utilizzato. Il canale non verbale e l’utilizzo di stimoli visivi consentono alla famiglia e al paziente di non esercitare un controllo rigido su quello che vuole esprimere, come con l’utilizzo della parola, e spesso permettono un accesso più immediato e imprevedibile al mondo emotivo.
Mi piaceva connettere questa esperienza artistica su un tema attuale e importante come la violenza di genere con il nostro lavoro di psicoterapeuti che in fondo ogni giorno fotografiamo frammenti di storie e di realtà e che spesso utilizziamo le immagini per aiutare i pazienti a ritrovarsi, riconoscersi e riflettersi.